Al padre
Dove sull’acque
viola
era Messina,tra
fili spezzati
e macerie tu vai
lungo binari
e scambi col tuo
berretto di gallo
isolano. Il
terremoto ribolle
da tre giorni, è
dicembre d’uragani
e mare
avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci
e noi bestiame infantile
contiamo sogni
polverosi con i morti
sfondati dai
ferri, mordendo mandorle
e mele
disseccate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise
verità e lame
nei giochi dei
bassopiani di malaria
gialla e terzana
gonfia di fango.
La tua pazienza
triste,
delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di
giorni uniti alla morte
tradita, al
vilipendio dei ladroni
presi fra i
rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria
degli sbarchi, un conto
di numeri bassi
che tornava esatto
concentrico, un
bilancio di vita futura.
Il tuo berretto
di sole andava su e giù
nel poco spazio
che sempre ti hanno dato.
Anche a me
misurarono ogni cosa,
e ho portato il
tuo nome
un po’ più in là
dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso sul
tuo capo era una mitria,
una corona con
le ali d’aquila.
E ora
nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto
parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza
colorati dalla lanterna
notturna, e qui
da una ruota
imperfetta del
mondo,
su una piena di
muri serrati,
lontano dai
gelsomini d’Arabia
dove ancora tu
sei, per dirti
ciò che non
potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri –
per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del
biviere, agavi lentischi,
come il campiere
dice al suo padrone.
"Baciamu li
mani". Questo, non altro.
Oscuramente
forte è la vita. |